Ibrahim è arrivato al Centro Servizi di Via Zendrini un pomeriggio di un torrido agosto milanese. 16 anni, alto, magro, la pelle ruvida e bruciata dal sole di chi ha vissuto il viaggio. E la strada. Si guardava intorno in silenzio, tra le pareti della struttura, come stretto in una gabbia fatta di regole, educatori costantemente presenti, una routine quotidiana prefissata.  

Si è fermato una notte.
La mattina dopo è uscito e non è più rientrato. 
 

Dopo qualche giorno Ibrahim è stato riaccompagnato al Centro. Di nuovo si aggirava per le stanze, come un prigioniero, lo sguardo carico di tutte le parole che la sua lingua non sapeva ancora comunicare: paura, rabbia, frustrazione, voglia di scappare. Ma questa volta il giorno dopo era ancora lì.  

Negli occhi di Ibrahim si leggeva la fatica: l’italiano, così difficile da imparare, era un muro insormontabile, i fraintendimenti erano sempre in agguato, e dopo ogni incomprensione tornare a comunicare consumava tutte le poche energie che erano rimaste. Era aggressivo, con gli adulti e con gli altri ragazzi, ma non aveva altro modo per raccontare che si sentiva in trappola, che in un posto fatto di regole così strette e incomprensibili non sapeva come comportarsi, non sapeva come fare. Quello non era il mondo della strada dove lui aveva vissuto fino a poco tempo fa, dove lui sapeva esattamente come non farsi schiacciare.  

Ibrahim è rimasto un mese, poi un secondo mese e anche un terzo. Ha iniziato a imparare qualche parola di italiano, ad andare a scuola, a comprendere il senso delle regole. Ha iniziato a fidarsi di una parte di sé, quella che poteva scegliere di ascoltare adulti che aveva intorno, senza il pensiero costante di doversi difendere dagli altri e di doversela cavare da solo.  

Così è successo che Ibrahim un giorno ha avuto la forza di raccontare della sua famiglia, fatta di 4 fratelli più piccoli e la mamma, rimasta vedova, del suo viaggio per venire in Europa e riuscire a trovare un lavoro, della paura di fallire nel suo intento. Da quel momento ha sentito gli educatori, l’assistente sociale, la tutrice volontaria accanto a lui a cercare di sostenerlo e aiutarlo a realizzare il suo progetto. 

I mesi trascorsi nel Centro di via Zendrini sono stati lunghi, faticosi. Quante volte Ibrahim si è trovato a ridiscutere con un educatore delle proprie scelte: lui era lì, andava a scuola, ok, ma era fermo, mentre intorno a lui altri ragazzi lavoravano già, non importava se erano senza contratto, quello che contava erano i sodi che mandavano a casa.  

Ma no, Ibrahim, lo sai… Vieni che riparliamo un attimo del progetto che hai scelto. 

Giorno dopo giorno, discussione dopo discussione, Ibrahim è rimasto. Oggi ha accettato di proseguire il suo percorso in una comunità di seconda accoglienza. Non più solo, ma accompagnato, da persone adulte competenti, pronte a fare il tifo per lui.